Carne coltivata: tra ricerche e opportunità

Marco Martinelli, Divulgatore Scientifico e PhD, student presso Scuola Superiore Sant’Anna.

Carne coltivata: tra ricerche e opportunità.

Martedì 28 marzo 2023 il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha presentato, presso la seduta del Consiglio dei ministri, un disegno di legge per vietare la “carne sintetica”.

Questa notizia, in un momento storico dove i cittadini sono bombardati da numerose informazioni circa i cambiamenti dell’alimentazione dovuti al cambiamento climatico o la necessità di virare la dieta verso nuovi cibi come gli insetti ha diviso l’opinione pubblica e in parte anche la comunità scientifica.  

La carne coltivata, erroneamente definita “sintetica”, rappresenta una grande opportunità che l’Italia sta perdendo, com’è stato venti anni fa in Europa con gli OGM (organismi geneticamente modificati).

All’epoca l’Italia ne proibì anche le sperimentazioni in campo aperto. Ma aldilà del dibattito scientifico si aggiungono le complicazioni legate al fatto che i divieti presenti nell’articolo 2 del ddl non si applicheranno agli eventuali prodotti provenienti da altri Stati membri dell’Unione europea.

Se quindi l’EFSA, l’autorità UE per la sicurezza alimentare, dovesse ammetterne l’uso negli Stati membri, le regole comunitarie della libera circolazione dei beni e dei servizi non consentirebbero all’Italia di opporsi alla loro distribuzione.

Di fronte al fatto che, in tutta probabilità, prima o poi la carne coltivata sarà reperibile al supermercato vale la pena approfondire che cosa sia, se faccia bene o faccia male e se davvero sia più sostenibile del consumo di carne animale.

Per rispondere a questi dubbi, la FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha pubblicato un report dal titolo “Food safety aspects of cell-based food” in cui affronta i molteplici aspetti della questione.

La carne coltivata, viene definite dalla FAO “cell-based food” perché è il risultato della coltivazione di cellule in laboratorio ma capiamo meglio come si produce.

Davide Lanzoni, Filippo Bracco, Federica Cheli, Bianca Maria Colosimo, Davide Moscatelli, Antonella Baldi, Raffaella Rebucci and Carlotta Giromini. Biotechnological and Technical Challenges Related to Cultured Meat Production. Applied Science (2022).

Il primo step è fare una biopsia all’animale, questo consente di prelevate delle cellule staminali che ci consentiranno di riprodurre la carne. Le cellule staminali sono cellule multipotenti ossia possono divenire qualsiasi tipo cellulare, così dopo essere stare replicate in speciali bioreattori vengono stampate in 3D (ossia disposte su un supporto a più livelli) e messe nelle opportune condizioni per trasformarsi in tessuto muscolare, il tessuto più abbondante in un hamburger o bistecca.

Questo processo non deve spaventarci o sembrare innaturale, nel nostro organismo le cellule staminali del midollo osseo producono costantemente nuovi globuli rossi e per farlo necessitano di stare in un ambiente tridimensionale in presenza specifici nutrienti e fattori ormonali.

Per questo le cellule vengono stampate in modo tridimensionale e poi messe in contatto con delle specifiche sostanze così da favorirne la trasformazione nel tessuto desiderato.

La storia prosegue perché il tessuto muscolare, per raggiungere una maggiore compattezza deve essere stimolato in un modo analogo a come noi stessi stimoliamo i muscoli per renderci sodi e definiti: i frammenti di tessuto ottenuti vengono così sottoposti a stress meccanici o scosse elettriche in un processo detto maturazione (Fig 1).

Alla fine però quello che si ottiene è ben diverso da una bistecca. Una fiorentina non è costituita da solo tessuto muscolare ma è il frutto dell’interconnessione di molti tessuti: muscolare, adiposo (grasso), connettivo (collagene) e nervoso.

Questo incide sulla texture ma anche sulla composizione chimica e nutrizionale del prodotto, che almeno tal quale può risultare più povero.

La carne coltivata necessita di essere addizionata di aromatizzanti, grassi (magari di origine vegetale), sali minerali e vitamine e in generale tutto il  processo industriale di standardizzazione e efficientamento è ancora lontano dall’essere definito.

I problemi relativi alla sicurezza del prodotto sono tra i primi sollevati da chi non crede in questa alternativa. Un esempio è la preoccupazione della presenza di residui chimici usati per la coltura cellulare i cui effetti potrebbero essere negativi sul prodotto, dal punto di vista del sapore ma anche sulla salute di chi li consuma.

Tuttavia la sperimentazione di queste tecnologie arriva da lontano, la produzione alimentare basata su cellule è stata ben caratterizzata in laboratorio già nei primi anni 2000 ed in pochissimo tempo è entrata negli impianti di produzione aziendali. Nel 2013 è stato presentato al mondo il primo hamburger di manzo coltivato.

Nel dicembre 2020, a Singapore sono state approvate le prime crocchette di pollo, frutto di coltivazione in vitro.

Nel novembre 2022, la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti ha completato la sua prima consultazione stabilendo di non avere ulteriori domande sulla sicurezza del prodotto e attualmente ci sono più di 100 startup che sviluppano alimenti a base di cellule in tutto il mondo.

Coltivare carne in vitro è sicuro proprio perché in laboratorio è possibile verificare che le condizioni microbiologiche e chimiche siano ottimali.

Al contrario, in campo, una vacca può nutrirsi di mangime contaminato da micotossine o erba che ha assorbito metalli pesanti, materiali che ritroveremmo nella carne dal macellaio.

In aggiunta la possibilità di avere tessuti provenienti da cellule staminali apre le porte all’utilizzo di possibili OGM, in particolare, in futuro potrebbe essere possibile modificare geneticamente le cellule staminali così da renderle capaci di produrre grassi insaturi invece che saturi generando un prodotto adatto a diminuire il rischio di malattie cardiovascolari. 

Sebbene in Italia sia stato tirato il freno a mano, il panorama commerciale internazionale, sull’onda dell’innovazione e della sostenibilità, ha fatto passi da gigante espandendosi rapidamente con diversi tipi di prodotti e materie prime provenienti da cellule di pollame, pesce, e maiale.

Iris Vural Gursel, Mark Sturme, Jeroen Hugenholtz, Marieke Bruins. Review and analysis of studies on sustainability of cultured meat. Wageningen Food & Biobased Research. Report 2248

La carne coltivata, infatti, oltre a essere un’alternativa rispettosa per il benessere animale è un’alternativa sostenibile e la letteratura scientifica è concorde su questo aspetto.

Le ricerche si sono concentrate in modo esauriente sui benefici ambientali della carne coltivata rispetto all’allevamento del bestiame, e i risultati hanno messo in luce che i vantaggi deriverebbero da una minor quantità emissioni di gas serra (GHG), una diminuzione dell’uso di terra, ma anche da un utilizzo più efficiente di acqua ed energia.

Un report proveniente dalla Wageningen University però mette in luce una questione fondamentale: la sostenibilità della produzione di carne coltivata dipende fortemente dalla tipologia di fonte energetica che viene utilizzata.

Ad esempio, gli allevamenti di maiale e pollo hanno un’impronta carbonica inferiore rispetto alla carne coltivata se lo scenario energetico è convenzionale, se invece sono utilizzate fonti rinnovabili l’impronta carbonica minore è quella della carne coltivata (fig 3).

Iris Vural Gursel, Mark Sturme, Jeroen Hugenholtz, Marieke Bruins. Review and analysis of studies on sustainability of cultured meat. Wageningen Food & Biobased Research. Report 2248

Dallo studio condotto la carne prodotta in laboratorio risulta sempre più vantaggiosa rispetto all’allevamento bovino ma ha sempre prestazioni peggiori rispetto ai plant-based food ossia le alternative a base vegetale.

Questo elemento è molto importante perché nella discussione pubblica che ha visto lo scontro tra fazioni favorevoli o contrarie alla carne coltivata pochi hanno menzionato il basso impatto ambientale degli hamburger vegetali.

In conclusione, questa nuova tecnologia necessita di ulteriori collaudi industriali e il suo arrivo nei supermercati non sarà immediato.

E’ un alimento frutto di quel movimento diretto a creare alternative alla carne più sostenibili insieme agli alimenti a base vegetale, insetti o proteine microbiche (es. funghi).

L’aumento nell’offerta di prodotti non dovrebbe essere considerato come concorrenza ma delle alternative che si rivolgono a diversi tipi di consumatori, anche perché la carne coltivata per come la tecnologia riesce a produrla oggi non è uguale a una bistecca.

Semplicemente, in combinazione con altre alternative alla carne, può portare a una riduzione della produzione e del consumo di carne convenzionale migliorando la salute dei cittadini e del pianeta.

Bibliografia:

Davide Lanzoni, Filippo Bracco, Federica Cheli, Bianca Maria Colosimo, Davide Moscatelli, Antonella Baldi, Raffaella Rebucci and Carlotta Giromini. Biotechnological and Technical Challenges Related to Cultured Meat Production. Applied Science (2022).

Farley Simon Nobre. Cultured meat and the sustainable development goals. Trends in Food Science & Technology 124 (2022) 140–153.

Ilse Fraeye, Marie Kratka, Herman Vandenburgh and Lieven Thorrez. Biotechnological and Technical Challenges Related to Cultured Meat Production. Frontiers in Nutrition (March 2020). Iris Vural Gursel, Mark Sturme, Jeroen Hugenholtz, Marieke Bruins. Review and analysis of studies on sustainability of cultured meat. Wageningen Food & Biobased Research. Report 2248 doi.org/10.18174/563404